Un consiglio di lettura: “Milano Pastis” di Davide Pappalardo. Le righe che seguono sono la versione ampliata della scheda pubblicata sul settimanale “Ravenna & Dintorni” il 2 luglio (che si può trovare anche online e sulla pagina “Ravenna & Dintorni News”).
Anni Sessanta: l’Italia cambia volto e da nazione proto-industriale inizia a trasformarsi in un paese moderno. La maggior parte dei commentatori parla di boom economico, ma non fila tutto liscio. Le contraddizioni, infatti, sono innumerevoli; per citarne solo alcune: da un lato le tentazioni golpiste del Piano Solo, che progetta di fermare sinistra e sindacati; dall’altro il mondo della cultura che tenta di uscire dalla propria torre d’avorio per incontrare il mondo delle fabbriche e la realtà sociale. Intanto nelle grandi città del nord, ma anche in Romagna e a Ravenna, nascono nuove industrie e le esistenti aumentano la produzione; così cresce anche la popolazione con percentuali che vanno dal 30 al 36 per cento. Il boom economico e il conseguente benessere cambiano però anche la struttura della malavita. Milano è forse la prima a farne le spese; un esempio è nella “signora rapina” (come la definì Dino Buzzati sul “Corriere della sera”) a una gioielleria di via Montenapoleone del 15 aprile 1964. Pistole, mitragliatori, un gruppo di fuoco di sette persone, in parte francesi. Il cosiddetto Clan dei Marsigliesi.
Parte da quel fatto di cronaca il romanzo “Milano Pastis” di Davide Pappalardo (Excalibur / RaccontaMi Editore; il romanzo era già uscito nel 2015 per le edizioni Nerocromo), la cui nuova edizione è stata distribuita nel periodo difficile della quarantena, trovando quindi meno visibilità del dovuto.
Formato da “giallo”, con copertina e illustrazioni interne che arrivano dall’immensa produzione del maestro Carlo Jacono, il romanzo racconta quel grande colpo usando a dovere lo stile del noir, con un occhio al polar francese degli anni Settanta. Non solo perché fa muovere l’intrigo da alcuni luoghi mitici della mala di Parigi, da Pigalle a Batignolles; ma anche perché indaga sull’anima dei personaggi, da Joe Le Maire, “il sindaco”, vecchia volpe della criminalità che si trova a dover sottostare all’avanzare dei nuovi gangster, con simpatie naziste; al suo uomo, Robert, che si autoproclama capo del gruppo di fuoco, e che vive una passione con una ballerina tunisina, Sherazade. Ma è ben analizzato anche il rapporto complesso fra gli altri due rapinatori, in particolare i fratelli Bresciani. Poi una manciata d’azione: evasioni, sparatorie, risse, bevute, trappole, inganni e corse in auto.
“Milano Pastis” diventa poi sempre più nero e non dà spazio ad alcun personaggio positivo. Certo, i poliziotti, di qua e di là dalle Alpi, lavorano e indagano, mettono insieme i pezzi del puzzle e riescono a portare a processo la banda; ma compiono tutto questo senza diventare protagonisti della narrazione. Servono, sono elementi utili alla narrazione: come le pistole e i mitragliatori usati nell’assalto alla gioielleria. Ma non si trasformano in personaggi.
Insomma: Davide Pappalardo racconta con cura, attenzione e cuore l’ambiente reale dei primi anni Sessanta, nel quale si muoveranno, nel giro di poco tempo, personaggi come Pietro Cavallero, Renato Vallanzasca e Francis Turatello. Buona lettura (e chissà che l’autore non decida di affrontare altre storie di quella parte di malavita italiana).
Nevio Galeati