Consigli di lettera: “Il morso del varano”

Riprendiamo una vecchia consuetudine, purtroppo trascurata: far segnalare romanzi ad autori e amici gialloluneschi. Questa volta Cristina Biolcati ci dice cosa pensa de “Il morso del varano” (Newton Compton Editori) di William Bavone; che per altro è stato nostro ospite nella 22a edizione.

William Bavone

Alcuni omicidi sconquassano Bologna, la città dei tortellini, della Torre degli Asinelli, di Lucio Dalla. Soprattutto la città che ha adottato l’ispettore della Mobile Nico De Luca, un tipo ruvido di origini pugliesi e dai connotati chiari, tanto da meritarsi il soprannome di “Salentino Albino”. De Luca ama il caffè, che ha il potere di rilassarlo. Odia le raffiche di aria gelata che gli arrivano dritte alla gola, infatti si protegge con una sciarpa, a coprire una cicatrice a livello del mento. Che ci fa capire essere fonte del suo disagio e del suo carattere tormentato. Un cruccio di cui ci parlerà in modo particolareggiato più avanti, dato che per questo libro si ventila un prosieguo. Nico ospita in casa la nipote Giulia, venticinquenne, figlia del fratello Enrico, con la quale ha un rapporto difficile. La ragazza è lì per frequentare l’università, però sembra essersi messa d’impegno per sconvolgergli la vita a suon di ribellione.

Il caso che gli è affidato è spinoso: l’assassino non lascia tracce. La prima vittima è un anziano giudice, Filippo Stefanini, che viene sgozzato; la seconda è un ex poliziotto, Giorgio Spiga, deceduto per asfissia. Apparentemente nessuna correlazione li lega, eppure bisogna andare oltre.

Così, mentre De Luca si destreggia tra pranzi surgelati e riscaldati col microonde, capricci della nipote, telefonate inopportune del fratello a cui vorrebbe nascondere la verità circa il suo fallimento come zio, con l’aiuto della sua valida squadra si apre uno spiraglio. Ed è un file rouge che lega le vittime a un probabile mondo di adozioni minorili, riguardanti famiglie indigenti. C’è aria di rivalsa, e in alcuni capitoli la prospettiva cambia e, dalla terza persona che descrive al passato le gesta del Salentino Albino, si entra nella mente di un omicida che nutre il male a ogni sospiro; e lo racconta in diretta. Il killer ha motivazioni che il lettore scopre un po’ alla volta: la scia di sangue non si ferma e la corsa contro il tempo, per fermare la mano assassina, diventa frenetica. Illuminante il passaggio: “La mia vita è stata come il morso di un varano, un morso ricevuto da bambino, che mi ha reso un inutile essere vivente. Ma ora sono guarito, ho ingerito l’antidoto della vendetta e sono diventato io stesso un varano, un predatore.” Niente è come sembra e tutti, potenzialmente, sono in pericolo. Nessuno escluso, anche chi sta molto vicino all’ispettore. Fino alla finale, quanto amara, resa dei conti.

“Il morso del varano” è un romanzo che parla di gente comune, senza supereroi. La fallibilità dell’essere umano è un’ombra che accompagna Nico De Luca, gli cammina a fianco. Lui che ha reciso le proprie radici, ma pensa al passato. Un po’ come quel bonsai di olivo di cui si prende cura: deve ricominciare da un’altra parte, costruendosi un microcosmo più a misura d’uomo. Mentre fuori il male impera, in una Bologna che sembra custodire ancora molti segreti.

Cristina Biolcati

Cristina Biolcati (a sinistra) premiata a GialloLuna Nero Notte da Franco Forte (a destra). Con loro Nevio Galeati

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